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Tribunale di Bologna > Giustificato motivo oggettivo
Data: 04/08/2009
Giudice: Dallacasa
Tipo Provvedimento: Ordinanza
Numero Provvedimento:
Parti: GIOVANNI V. / COOPERATIVA TRASPORTATORI ARGELATO S.GIORGIO SCRL; CAVE NORD SRL
LICENZIAMENTO PER GIUSTIFICATO MOTIVO OGGETTIVO - NECESSITA’ DI SPECIFICAZIONE DEL MOTIVO PRODUTTIVO-ORGANIZZATIVO - SCELTA DEL LAVORATORE IN RAGIONE DELLE SUE CONDIZIONI DI SALUTE: ULTERIORE PROFILO DI ILLEGITTIMITA’ - PERICULUM IN MORA: INSUFFICIENZA DE


Artt. 2 e 3 legge n. 604/1966

Art. 700 cod. proc. civ.

Un dipendente veniva licenziato il 29 aprile 2009 per giustificato motivo oggettivo “nell’ambito di un più ampio programma di riassetto organizzativo e produttivo indotto dalle contingenze di mercato, finalizzato tra l’altro alla razionalizzazione degli oneri e al contenimento dei costi determinati dal calo dei volumi produttivi che (…) ha registrato, nel primo quadrimestre 2009, un ridimensionamento pari al 40% rispetto all’analogo periodo dell’anno precedente”. Il licenziamento veniva pertanto definito quale “misura indispensabile per adeguare l’organico alle effettive e residue  esigenze produttive e d’impresa”. Il lavoratore chiedeva tempestivamente la precisazione dei motivi, ma la società si limitava a richiamare il testo dell’art. 3 legge n. 604/1966 ribadendo la motivazione contenuta nella lettera di licenziamento. A quel punto il sig. Aziz promuoveva il tentativo di conciliazione avanti alla DPL, ed immediatamente decorsi i 60 giorni proponeva un ricorso ordinario con istanza di reintegrazione ex art. 700 c.p.c. in corso di causa, evidenziando - tra l’altro - di essere unico percettore di reddito in famiglia composta da moglie e quattro figli di cui due minori, tutti a carico. Il giudice fissava per il cautelare l’udienza del 4 agosto 2009, e per la trattazione della causa di merito al febbraio 2010. Si costituiva la società nella fase cautelare sostenendo la legittimità del licenziamento sia in ragione dell’intento di chiudere entro la fine dell’anno 2009 il reparto al cui era addetto il ricorrente, specificando che la scelta dello stesso era intervenuta anche in ragione delle sue condizioni di salute, che lo rendevano meno “produttivo” (evidenziava infatti la società che il reparto, ridotto da cinque a tre unità, aveva mantenuto invariati i livelli produttivi) e non collocabile in altre posizioni lavorative. Eccepiva inoltre la  mancanza del danno grave ed irreparabile, per aver il dipendente percepito il TFR, che, in aggiunta al trattamento di disoccupazione, avrebbe garantito sufficienti condizioni economiche al lavoratore ed alla sua famiglia (composta anche “da figli maggiorenni”).

Il giudice accoglie l’istanza di reintegrazione, evidenziando che, dal punto di vista formale, la lettera di licenziamento “non consente di identificare le ragioni vere poste a fondamento del licenziamento, come dichiarate dalla stessa resistente in sede giudiziale. Nella lettera, infatti, sono taciuti sia il motivo produttivo/organizzativo del licenziamento (la decisione di ridurre la produzione e poi di chiudere il reparto staffe) sia le ragioni della scelta del lavoratore dal licenziare (la sua invalidità), a fronte del proseguimento dell’attività del reparto con tre occupati (…). Dal punto di vista sostanziale la scelta del lavoratore da licenziare è caduta sul ricorrente in ragione delle sue condizioni di salute, il che introduce un ulteriore profilo di illegittimità, se non di discriminazione”. Sostiene il Giudice che “non ha alcun senso oggi” addurre a giustificazione del licenziamento l’impossibilità di impiego del ricorrente in altro reparto in previsione della chiusura di quello a cui era addetto: “infatti tale argomento può essere speso quando il reparto sia davvero chiuso, ma non prima, a fronte della continuazione dell’attività del reparto, seppure a ritmi produttivi ridotti”. Da ultimo il Tribunale sottolinea come la mancata comunicazione dei motivi effettivi del licenziamento  abbia impedito alla difesa del ricorrente di assolvere ai propri oneri di allegazioni in tema di repechage, “il che conferma i vizi del recesso sul paino della inadeguata comunicazione dei motivi”.

Sotto il profilo della gravità ed irreparabilità del danno il Giudice ritiene che “il pericolo sussiste perché, a fronte di retribuzioni che, per fatto notorio, sono appena sufficienti a garantire la sussistenza, la percezione dell’indennità di disoccupazione per un tempo limitato non può considerarsi una forma di ristoro adeguato”. In considerazione della apparente illegittimità del recesso, il Giudice si fa anche carico del fatto che l’indennità di disoccupazione correrebbe il rischio di essere erogata ingiustificatamente: “a fronte dell’esistenza del fumus dell’illegittimità del licenziamento, non pare appropriato escludere il periculum, in ragione di un esborso, a carico dell’ente previdenziale, che presumibilmente (cioè secondo il grado di probabilità proprio del giudizio sul fumus), sarebbe senza causa”. Da ultimo, per quanto concerne l’eccepita  tardività della proposizione dell’istanza ex art. 700 c.p.c. (che, si rammenta, era stata proposta in corso di causa appena decorsi i 60 giorni del tentativo obbligatorio di conciliazione) secondo l’ordinanza “il tempo di due mesi intercorso tra la comunicazione dei motivi ed il deposito del ricorso è ragionevole, e non giustifica una valutazione di acquiescenza al licenziamento”.